Cari colleghi ed amici, io mi sento gravato da una grande
responsabilità perché ho colto da tante parti una sollecitazione ad intervenire
nel corso di questo dibattito; l'ho colta in particolare nelle parole, come
sempre affettuose, dell'on. Scalfaro, e mi è sembrato così che parecchi amici
pensassero, a torto, che io abbia la chiave per il superamento delle nostri
comuni difficoltà. Ho vissuto alcuni anni intensi in diverse esperienze della DC
e sono lieto sempre di mettere a disposizione il frutto di questa vita spesa al
servizio del partito, ma credo che davvero nessuna persona possa da sola vincere
l'ostacolo che è dinanzi a noi; dobbiamo vincerlo insieme nella nostra
concordia, nella nostra solidarietà, nella nostra consapevolezza.
E quindi
devo dire che non è stato un gioco di parole quel che io ho detto ieri, all'on.
Scalfaro, che desideravo ascoltare, desideravo essere illuminato; era una
sincera manifestazione di una volontà di dialogo tra noi, che non è cominciato
del resto qui e nel corso del quale effettivamente ho potuto saggiare la
validità di alcuni miei convincimenti, alla luce delle osservazioni che in un
senso o nell'altro sono state avanzate da questa ssemblea altamente
responsabile.
Consentitemi di dire, con assoluta sincerità, che questa è
stata una bellissima assemblea, ricca di interventi seri, solidi, responsabili,
pur nella loro diversità, come è naturale che sia. E non mi pento certamente di
avere trovato naturale un incontro di tutti i parlamentari, in una riunione come
questa, avendo piena fiducia nella Democrazia Cristiana e nella verità; perché
certamente non sono utili le cose che si nascondono, che si riducono a
serpeggianti mormorazioni, mentre non sono mai cattive le cose che vengono dette
con sincerità nelle sedi proprie, nell'ambito di un dibattito democratico e
responsabile come quello che stiamo vivendo. Quindi credo che le cose dette e
quelle che saranno dette successivamente, siano un contributo importante al
superamento della crisi.
Sono state dette cose che mi pare non si possano in
nessun modo ricondurre ad una meschina ragione di interessi, ma cose comunque
formulate che si riportano agli ideali, a quei modi di vita, a quelle ragioni di
essere che sono proprie della Democrazia Cristiana. Mi pare che questa volta
l'accusa di portare avanti nel dibattito piccoli interessi particolari, ci sia
stata meno nella stampa, la quale ha rispettato il dibattito serio e profondo
che si è svolto nella Democrazia Cristiana, ha compreso quanto fosse importante
che il nostro partito andasse fino al fondo nella ricerca della verità in un
momento come questo, che certamente è un momento di grande responsabilità.
Abbiamo, credo, lavorato tutti in questo periodo, ciascuno al proprio posto, chi
in modo febbrile, chi in modo un po' più calmo. Abbiamo fatto tutti il nostro
dovere. Credo abbia fatto il suo dovere anche la delegazione che in questo
momento mi incarica di dire qualche parola conclusiva. Tutti abbiamo
responsabilmente affrontato il nostro compito, consultandoci tra noi e tenendoci
in contatto con i gruppi parlamentari e la base del partito.
E credo
l'abbiamo fatto con spirito di unità, di concordia, con un continuo
collegamento. E voi, cari amici, avete fatto la vostra parte preparando
l'assemblea che oggi si celebra e dalla quale noi ci proponiamo di trarre delle
indicazioni preziose per vagliarle secondo le indicazioni date dalla Direzione
del partito.
Possiamo dire, quindi, che abbiamo cercato seriamente e
lentamente la verità, la verità nel senso politico, cioé la chiave di
risoluzione delle difficoltà insorte nel corso di queste settimane. Non dico a
caso "lentamente"; mi rendo conto che c'è una certa punta polemica, anche se mi
sembra essersi attenuata nel corso di questa crisi, nei confronti della
procedura articolata che abbiamo adoperato e che ci ha portato a riflettere,
scambiarci idee, riunirci in Direzione, sentire i Direttivi dei Gruppi e poi
ritrovarci ancora. E' una procedura un po' lenta di fronte a un certo rapido
procedere di alcune democrazie occidentali; ma vorrei dire non di tutte, infatti
si parla dell'Italia come di un caso a sé, ma l'Olanda ha impiegato circa 9 mesi
per risolvere la sua crisi; è vero che ha un primato di una ventina di partiti,
al quale noi non siamo ancora giunti e speriamo di non giungere; anche il Belgio
ha conosciuto crisi di mesi e non di settimane.
Responsabilità nuove per la Democrazia Cristiana
Ma, a parte questo, voglio dire che la mancanza di una vera
polemica intorno al moderato snodarsi della crisi si deve alla consapevolezza
che le forze politiche e l'opinione pubblica hanno della difficoltà della
situazione, dell'importanza nuova e decisiva dei quesiti che ci sono proposti,
del carattere altamente responsabile delle decisioni che dobbiamo
prendere.
Ora, di fronte a questo, certo, non si possono concepire degli
ultimatum, di qualsiasi natura, taluni possono essere dolci nell'aspetto, altri
più duri; ma ultimatum di qualsiasi genere che effetto avrebbero di fronte ad
una maturazione che tende a cercare la via di uno sbocco positivo? Avrebbe, un
qualsiasi ultimatum, il significato di una stretta che rischierebbe di fare
precipitare le cose verso una conclusione negativa.
Non è che noi abbiamo
perso tempo, né abbiamo giocato con nessuno. Abbiamo cercato di riflettere
seriamente nel corso di queste settimane sulle cose che erano dinanzi a noi. Che
questa lunghezza delle nostre meditazioni non sia stat inutile è dimostrato,
credo, anche da questa assemblea di oggi, la quale ha registrato, come era
naturale che registrasse, posizioni vigorose, vivacemente polemiche; ma ha
registrato anche una serie di indicazioni positive e di intenzioni costruttive,
ha dato il senso di una accresciuta consapevolezza della responsabilità che
ricade sulla Democrazia Cristiana: se questo si deve al vostro senso di
responsabilità, lo si deve anche al modo, al ritmo con cui le cose sono state
condotte. Di questo ritmo speriamo di potere dimostrare l'utilità: in
definitiva, ne deriva un vantaggio in termini di costruttività nella nostra vita
politica.
Siamo dinanzi a interrogativi che qualche volta ho definito
angosciosi, come è stato rilevato dal Corriere della Sera in un articolo di
linguistica politica, che mi riconosce una certa sobrietà, ma mi addebita il
fatto di aver pronunciato una volta il termine "angosciosi". Effettivamente si
tratta di interrogativi angosciosi, si tratta di alcuni tra gli interrogativi
più gravi, più ricchi di futuro, che ci siano stati proposti nel corso della
nostra storia trentennale.
Si può dire che dal momento nel quale si è
determinata l'esclusione del Partito Comunista Italiano dall'area di governo,
abbiamo avuto momenti difficili, abbiamo realizzato delle svolte; soprattutto
nel momento del centro-sinistra, abbiamo sentito che cominciava qualche cosa di
profondamente nuovo, ma non abbiamo mai fino ad oggi sentito che eravamo di
fronte ad interrogativi grandi come quelli che ci si pongono dinanzi, ed ai
quali si deve rispondere con un profondo esame di coscienza.
Le elezioni politiche hanno avuto due vincitori
Siamo davanti ad una situazione difficile, una situazione
nuova, inconsueta, di fronte alla quale gli strumenti adoperati in passato per
risolvere le crisi non servono più; è necessario adoperare qualche altro
strumento, guardare le cose con grande impegno, con grande coraggio, con grande
senso di responsabilità, ma anche con grande fiducia nella Democrazia
Cristiana.
Quesye cose nuove ed inconsuete nascono dalle elezioni, ma hanno
una loro origine un po' più lontana; già prima delle elezioni vi è stato il
risultato di un referendum che ha certamente sconvolto la geografia politica
italiana.
Prima delle elezioni politiche vi sono state quelle regionali che
hanno registrato un forte mutamento di opinioni politiche.
Prima delle
elezioni vi è stata quella dichiarazione che ha pesato e pesa tuttora nella
realtà italiana, con la quale, senza successivi ritorni e pentimenti, il Partito
Socialista ha dichiarato chiusa la esperienza di centro-sinistra.
Prima delle
elezioni abbiamo visto rattrappirsi l'antica maggioranza di centr-sinistra in un
Governo a due che faceva fatica a vivere in considerazione della quotidiana
contestazione dei partiti non presenti (il che induce a comprendere quale sforzo
di abilità, di pazienza, di serietà abbia dovuto compiere il Presidente
Andreotti per gestire un Governo di soli democristiani, con le astensioni degli
altri partiti). Già prima di allora avevamo avuto un Governo monocolore con la
semplice astensione socialista, ed infine siamo scivolati nelle
elezioni.
Quindi è una crisi prolungata, un serio deterioramento, che l'amico
De Mita definisce con la lucidità di intuizione che gli è propria (io mi tengo
un po' più terra terra); ma certamente devo riconoscere che qualche cosa, da
anni, è guasto, è arrugginito nel normale meccanismo della vita politica
italiana.
E, di fronte a questo logoramento propiziato da una stampa
pressoché unanime nel denigrare e nel dichiarare decaduta dal trono e dalla sua
semplice condizione civile la Democrazia Cristiana, alla luce di questa
esperienza si può ritenere che il risultato elettorale del 20 giugno, pur
creatore delle novità e delle difficoltà di fronte alle quali ci troviamo, sia
stato una risposta sostanzialmente positiva del Paese, il quale, a dispetto di
tante polemiche interessate alla distruzione della Democrazia Cristiana, ha
tuttavia risposto confermandoci nel ruolo di primo partito italiano, con un
soprassalto di consapevolezza che fa onore alla opinione pubblica italiana che
si sa ritrovare, come si è ritrovata, nei grandi momenti in questi trenta anni
intorno alla Democrazia Cristiana, che ha consacrato e riconsacrato come il più
grande partito italiano.
Perciò abbiamo avuto una vittoria, ma non siamo
stati soli. Anche altri hanno avuto una vittoria; siamo in due vincitori, e due
vincitori in una sola battaglia creano certamente dei problemi.
E questo io
credo debba essere oggetto di rispetto da parte nostra; l'ho detto più volte e
lo ripeto, perché credo che non sia giusto e non sia utile dare un cattivo
significato polemico, un significato di ritorsione, al fatto che siamo rimasti
in certo modo soli.
Rispettare e capire le altre forze politiche
Possiamo anche renderci conto delle ragioni che hanno
determinato questo atteggiamento. Ecco però la necessità ogni tanto di guardare
più a fondo nelle cose, di guardare sempre realisticamente quello che ci sta di
fronte. Dobbiamo rispettare e capire perché, pur creandoci tanti problemi (e
credo creandone anche al Paese), queste forze abbiano assunto certe
posizioni.
Queste forze hanno visto emergere un altro polo di presenza nella
vita politica, di segno diverso, di fronte al quale hanno alcuni elementi in
comune, una certa tradizione laica, desiderio di immaginare, di sperimentare
qualche cosa di nuovo. Dicevo che noi dobbiamo rispettare queste cose, le
dobbiamo capire, ma le dobbiamo anche ricordare a coloro che sono troppo
frettolosi nell'attribuire responsabilità alla Democrazia Cristiana.
Ci siamo
dunque trovati relativamente isolati; dico relativamente perché non abbiamo di
fronte uno schieramento di partiti ostili, anche se in qualche momento abbiamo
avuto l'impressione di essere punti con uno spirito non proprio fraterno.
Comunque, non abbiamo di fronte uno schieramento di partiti ostili: il fatto
nuovo è che fra questi partiti non ostili c'è anche il Partito Comunista.
La
situazione è dunque questa: abbiamo di fronte uno schieramento politico nel
quale ritroviamo i partiti di antica tradizione comune di governo e il Partito
Comunista, tutti in atteggiamento non ostile nei confronti della Democrazia
Cristiana.
Per questo parlo di una Democrazia Cristiana soltanto
relativamente isolata e concordo con gli amici Zaccagnini e Galloni, che hanno
rilevato come in questi mesi si sia potuto riaprire il discorso, disgelare un
po' le relazioni con questi partiti, ed è stata una cosa ottima e credo da
accreditare agli uomini che hanno così validamente contribuito, come appunto
Galloni ha fatto, a portare innanzi questo dialogo includendo il piccolo ma
importante Partito Liberale.
Non abbiamo perduto in senso proprio l'egemonia,
ma certamente la nostra egemonia è attenuata.
Avendo rifiutato la soluzione
drastica, la soluzione di impeto (siamo non omogenei, siamo non omogeneizzabili,
e dobbiamo perciò ritornare alla fonte del potere), abbiamo cercato dei rimedi
misurati, degli accomodamenti che non si sono dimostrati cattivi nella loro
attuazione anche se all'inizio sono stati guardati - e non poteva accadere che
non lo fossero - con delle preoccupazioni.
Abbiamo operato, si è detto, "nel
quadro del confronto".
Certamente questa espressione meriterebbe di essre
approfondita nel suo significato; ceto, essa, per essere una linea politica
nuova, di anni nuovi, rispetto al passato deve contenere qualche cosa che si
ricolleghi a quel tanto di novità problematica, discutibile quanto si voglia,
che è nel Partito Comunista e nel rapporto tra Partito Comunista e gli altri
partiti.
Abbiamo cercato di stabilire un certo contatto reciprocamente
costruttivo, sulla base non di un urto polemico quotidiano, come era nella
tradizione, a suo tempo naturalmente comprensibile, ma sulla base di un certo
spirito costruttivo, per ricercare se tra queste due forze antitetiche,
alternative, della tradizione italiana, vi potesse essere qualche punto di
convergenza, per lo meno su alcune cose; se vi potesse essere interesse a
capirsi reciprocamente intorno al modo di soluzione di alcuni problemi del
Paese.
Ed è in questo quadro di un confronto così intenso che abbiamo potuto
inserire - ripeto - con qualche iniziale disagio, ma poi con riconoscimenti
positivi, la formula di "non sfiducia", una sorta di accostamento obiettivo, di
atteggiamento non negativo dei partiti. Questo atteggiamento dei partiti
includeva anche il Partito Comunista. Ciò era una novità; non è che noi, cari
amici, non ce ne siamo accorti.
Voi avete certamente colto questo elemento di
novità. Avete avuto presente il contesto storico, il fatto elettorale, gli anni
che stavano dietro di noi; avete guardato, abbiamo guardato, al Paese. Abbiamo
ritenuto che questo allineamento, in forma di obiettivo e non negoziato
contributo, del Partito Comunista, in forma di astensione, potesse esser
accettato.
Cosa ha significato l'accordo di programma
Abbiamo avuto alcune decisioni in materia istituzionale, anche
esse motivo di turbamento, poi comprese nel loro significato. Ad un certo
momento abbiamo stipulato un accordo sul programma, nella logica di quel non
rompere tutto, come si poteva essere tentati di fare, per la difficoltà di
immaginare che cosa sarebbe sopravvissuto a questa generale rottura, e quindi
abbiamo cercato (anche qui con molte comuni trepidazioni) di dare un contenuto
positivo all'intesa, di sostituire cioé al non opporsi un qualche accordo
parziale - abbiamo detto - su alcuni punti particolari: qualche accordo parziale
su cose da fare, per un certo tempo. Abbiamo detto che questa operazione non
comportava la formazione di una maggioranza politica il che non è stato
contestato. Abbiamo detto che si trattava però di un fatto che aveva un suo
significato politico. Cioè, abbiamo arricchito ancora il quadro del confronto
ravvicinato, abbedendo alle esigenze del Paese. Dato che non si vuol rompere
perché si ha paura delle gravi conseguenze per il Paese, si è naturalmente
cercato con ogni cautela, con rispetto per la identità e la sensibilità della
Democrazia Cristiana, di fare qualche cosa di positivo, di programmare - ecco il
senso dell'accordo di programma - un po' quell'azione di governo che altrimenti
il Presidente del Consiglio doveva faticosamente improvvisare, di giorno in
giorno, cercando poi di renderla accettabile per le Camere.
C'è una polemica,
che credo francamente ingiusta, intorno al modo con cui abbiamo gestito questo
programma; non che esso abbia avuto grande attuazione, non se ne è avuto il
tempo; ma respingo fermamente l'idea che vi sia stata una volontà della
Democrazia Cristiana di bloccare l'attuazione del programma. Potremmo dire che
in alcuni casi il blocco è venuto da altre parti e da parte nostra abbiamo
veramente giocato tutte le carte su questo terreno a abbiamo persuaso il partito
della bontà di questa idea, del suo valore positivo, si intende, nel quadro non
tradizionale in cui ci si inseriva. Questo è diventato patrimonio del partito.
Ci è accaduto di cogliere con soddisfazione, nel corso di questa crisi,
indicazioni in senso favorevole sull'accordo di programma integrato anche da
un'intesa di politica estera.
In non voglio entrare nella storia di questa
crisi, perché non mi piace fare il processo agli altri partiti; è vero che c'è
stato del nervosismo di base nel Partito Comunista, che vi è stata una decisione
che a noi è parsa per lo meno affrettata, e devo dire che non c'era un impegno
di durata dell'accordo a sei, questo impegno preciso non c'era, c'era però
l'accettazione dell'accordo e la legittima previsione che esso potesse andare
avanti ancora qualche tempo. C'è stata qualche cosa, forse l'aggravarsi della
situazione, forse l'inquietudine della base sindacale, che ha portato a questa
decisione avvenuta al di fuori di noi.
Capaci di flessibilità e di assoluta coerenza
Ecco, questa è la storia che sta alle nostre spalle; e adesso
si tratta di vedere che cosa si debba fare di fronte a questa crisi che è
scoppiata coinvolgendo prima alòcuni dei partiti intermedi e poi, alla fine, con
valore determinante, il Partito Comunista. Ed è qui naturalmente il nucleo
centrale delle nostre riflessioni, ma soprattutto vorrei dire delle nostre
comuni preoccupazioni. Cioè, dobbiamo domandarci: è possibile andare avanti, è
sperabile di poter andare avanti nella soluzione della crisi camminando in modo
lineare nell'ambito di una direttiva che è stata tracciata, che ha già avuto
alcuni tempi di svolgimenti, ma che è rimasta nel suo significato complessivo?
Che cosa dobbiamo fare? Abbiamo delle difficoltà. Dobbiamo fare qualche cosa, e
nel fare qualche cosa rischiamo di cambiare la nostra linea, di menomare la
Democrazia Cristiana, di compromettere la identità della Democrazia Cristiana ed
il suo dialogo aperto e costruttivo con l'opinione pubblica?
Questo è il
quesito. Che cosa possiamo fare per fronteggiare la situazione ed insieme per
non rompere, per non distruggere, per non far nulla di catastrofico, per non
guastare delle cose che sono essenziali, per noi, che sono ragioni di vita per
la Democrazia Cristiana?
Questo è il punto; e qui vorrei ricordare - avendo
sempre in mente la storia della Democrazia Cristiana - i trent'anni che hanno
visto tante svolte, se volete svolte piccole, a fronte dei problemi ben più
impegnativi che stanno dianzni a noi. Quale è la garanzia reale del nostro più
che trentennale predominio della vita politica italiana?
Nella nostra
opposizione al comunismo, certamente, abbiamo vissuto, ci siamo fatti forti,
siamo restati forti come alternativa ideale di fronte al Partito Comunista. Ma,
pur con questo sfondo, ci siamo trovati dinanzi una infinità di problemi, di
esigenze di carattere sociale, di carattere civile, di carattere umano e di
carattere politico; ci siamo trovati tante volte a fare delle scelte di forze
politiche (dalla scelta centrista fino alla scelta di centro-sinistra). Io mi
guardo bene dal parificare l'attuale congiuntura a queste altre, ma voglio dire
che sull'umano, sul sociale, sull'economico, sul politico abbiamo saputo
cambiare quando era necessario ed era possibile in aderenza alla nostra
coscienza democratico-cristiana.
Se non avessimo saputo cambiare la nostra
posizione quando era venuto il momento di farlo, noi non avremmo tenuto,
malgrado tutto, per più di trent'anni la gestione della vita del Paese.
L'abbiamo tenuta perché siamo stati capaci di flessibilità ed insieme capaci di
una assoluta coerenza con noi stessi, sicché in nessun momento abbiamo smarrito
il collegamento con le radici profonde del nostro essere nella società
italiana.
La nostra flessibilità ha salvato fin qui, più che il nostro
potere, la democrazia italiana. Lo dico sapendo che le cose oggi sono diverse,
sono molto più grandi, hanno bisogno di una misura, di un limite, perché le cose
alle quali guardiamo insieme problematicamente, si inseriscano nella linea della
flessibilità costruttiva e non nell'ambito delle posizioni incoerenti e
suicide.
E' necessario quindi guardare alla situazione e guardare alle
alternative. Qualche volta mi è stato estremamente fastidioso domandare ad amici
con i quali si discute in amicizia, quali sono le alternative a qualche cosa che
non ci sentiremmo di fare.
E quindi assicuro che, quando dico questo, non
intendo rivolgermi con una sfida a nessuno degli amici. Questa domanda credo che
ciascuno di noi se la sia posta e se la ponga angosciosamente ogni giorno: quali
sono le alternative possibili in presenza di una crisi che è quella che è, in
presenza di certe sollecitazioni, in presenza di certi rischi che noi cogliamo
all'orizzonte? Quali rischi cogliamo all'orizzonte? Dico queste cose perché
riflettiamo tutti insieme. E quando io fossi certo che abbiamo riflettuto
insieme e deciso insieme, io sarei fermissimo, felice di andare con voi
qualunque cosa accada, ma l'importante è che noi sappiamo bene che cosa si
profila all'orizzonte, almeno che cosa potrebbe profilarsi. Non è facile sapere.
C'è della sfida, c'è della realtà, c'è della esasperazione, c'è
un'illusione?
Che cosa vedo come possibile sulla base di quello che si dice,
che si può intuire? Qualche cosa che può non essere vera, può incontrare delle
difficoltà obiettive, ma che ha un determinato grado di pericolosità che noi,
cari amici, dobbiamo cogliere nella nostra responsabilità.
Ecco, vedo il
rischio di una deviazione nella gestione del potere, cioé di quello che si dice
"passare la mano". Non passare la mano da un uomo ad un altro, come accadeva una
volta quando avevamo tanto spazio, ma passare la mano da uno schieramento
all'altro. E' una cosa possibile? E' una cosa probabile? Io non lo so.
Mettiamola tra le cose problematiche, tra le tante cose problematiche che devono
occupare la nostra coscienza.
Senza esitazioni la difesa degli elettori
Potrebbe non essere vero, ma potrebbe anche esserlo, qualora
una situazione elettorale si profilasse all'orizzonte e della quale ho una certa
convinzione che difficilmente sarebbe fatta con gli strumenti tradizionali della
Democrazia Cristiana.
Una deviazione nella gestione del potere potrebbe
essere una provocazione, una eccitazione o un proposito più serio. Lascio il
dubbio su questo. L'alternativa elettorale - che è stato detto da tutti non
essere nelle nostre mani - non avrebbe del resto carattere risolutivo e
presumibilmente aggraverebbe, avvenendo a questo punto, quel reciproco
condizionamento delle due grandi forze di cui si diceva. Esse si ritroverebbero
faccia a faccia, presumibilmente con un ulteriore logoramento delle forze
intermedie.
Ed allora non sarebbe forse possibile che queste forze
intermedia, per parare una minaccia di cui esse devono sentire tutto il peso,
acconsentissero, almeno per un certo tempo, ad una certa operazione politica?
Sono dei dati che dobbiamo avere dinanzi.
Io mi compiaccio di nostri amici
che all'inizio hanno parlato di elezioni con l'impeto di chi dice: c'è qui una
dignità offesa, una menomazione della nostra personalità, piuttosto andiamo alle
elezioni! Certo, io apprezzo e condivido questo stato d'animo di coraggio.
Certamente se ve ne fossero le condizioni, esse risponderebbero per noi ad una
ragione di dignità. Dire all'elettore: ritorno a te, fedele, limpido. Ecco un
atto di testimonianza (cosa importante)! Ma c'è da considerare altri aspetti: il
logoramento delle forze intermedia, il riprustino, presumibile in questa fase
politica, della situazione di stallo. Man mano però che si veniva parlando,
sembrava evidente che si tratta di un cammino difficile, impervio, probabilmente
inconcludente.
Non è detto che le elezioni non possano essere desiderate da
altri, anche se essi pure si rendono conto del peso che esse avrebbero.
Io
credo che dobbiamo domandarci sempre di fronte anche ai grandi fatti politici,
che non sono regolati dalla pura convenienza (io non credo che la politica si
pura convenienza, ha coefficienti di conveniena ma non è pura convenienza; la
politica è anche ideale): di fronte a questa situazione vogliamo fare della
testimonianza, cioè una cosa idealmente apprezzabile, rendere omaggio alla
verità in cui crediamo, ai rapporti di lealtà che ci stringono al Paese,
vogliamo promuovere una iniziativa coraggiosa, una iniziativa che sia misurata,
che sia nella linea che abbiamo indicato e sia pure nelle condizioni nuove nelle
quali noi ci troviamo?
Ecco, ad un amico, nel corso di un piccolo cenacolo
che ha avuto il pregio di svolgersi nella più assoluta discrezione (fatto più
unico che raro nella politica italiana), il quale mi chiedeva: si va elle
elezioni, bisogna fare le elezioni come testimonianza? Ho risposto: questa è
certo la cosa più pulita, risponde ad una coscienza cristallina. Ma se dovessi
guardare alla difesa, che pur tocca a noi, di alcuni interessi, non grandi
interessi, ma i normali, i legittimi interessi di 14 milioni di elettori, se
dovessi scegliere per quanto riguarda la loro integrità, ecco, io avrei qualche
esitazione (non ho scelto, non scelgo, dico avrei dell'esitazione) a scegliere
la via della testimonianza.
Però, certamente non esiterei ad andare alle
elezioni o all'opposizione, se mi si rompesse tra le mani il meccanismo di
ideali e di valori che abbiamo costruito insieme nel corso di questi anni. Se si
trattasse di questo, di fare anche l'ultima elezione per mantenere fede ai
nostri ideali democratici cristiani, lo dovremmo fare se la posta in gioco lo
richiedesse.
Se, invece, vi è, nella pazienza, nella ricerca, nel ritmo della
nostra conduzione della crisi, una via che ci si apre dinanzi, che ci permetta
di restare sostanzialmente nella nostra linea anche se su un terreno nuovo e più
esposto, dicevo: sì, cari amici, questo terreno nuovo e più esposto c'è già, ci
siamo sopra nella vita politica (forse, anche per qualche errore di amici
periferici, ma anche per situazioni obiettive, difficili da dominare) in molte
articolazioni dello Stato democratico che è così multiforme, che nessuna
conquista elettorale ce lo può dare tutto.
Ci sono tuttavia dei limiti che non possiamo superare
Ci siamo già - vi dicevo - con altri nella vita sociale, nei
sindacati, nelle associazioni civili, negli organismi culturali, nelle
innumerevoli tavole rotonde alle quali siamo presenti.
Questa è la realtà
sociale alla quale io, naturalmente, non vedo una alternativa perché mi rendo
conto che le cose acmminano con un loro impeto. Ma vogliamo renderci conto di
quanto sia diversa la realtà sociale italiana oggi, di fronte a quella di anni
fa? Ricordo che l'on. De Gasperi - ed è la mia unica citazione - raccomandava a
noi di essere sostenuti e un po' riservati in ogni nostro contatto, di aula o di
corridoio, con i colleghi comunisti. C'è una diversità che si è determinata per
la forza delle cose; non voglio trarne delle illazioni, tutto ciò, cari amici,
mi serve per dire che dobbiamo essere consapevoli di quanto le cose siano oggi
più difficili in questo Paese che si è rimescolato, un po' rendendosene conto,
un po' no. Allora il problema, cari amici, è quello di un limite da stabilire
nella linea di quella intesa di programma che avevamo portato fino a un certo
punto, con alcuni contenuti, ed alcune integrazioni. Ecco, siamo stati unanimi
in Direzione (voi avete accolto questa indicazione) nel dire no al governo di
emergenza; nel dire no ad una coalizione politica generale con il Partito
Comunista. Su questo avete visto, anche dagli interventi, che vi è un
atteggiamento così netto, così unanime della Democrazia Cristiana che c'è da
stupirsi che il Partito Comunista abbia voluto chiedere una cosa che era
scontato non potesse avere.
E questa è una cosa importante, e dobbiamo
ridirla in questo momento: è importante per ora ed è importante anche per dopo.
C'è un dovere reciproco di lealtà, di far comprendere quali sono i limiti al di
là dei quali non possiamo andare.
Una intesa politica, che introduca il
Partito Comunista in piena solidarietà politica con noi, non la riteniamo
possibile; anche se rispettiamo altri partiti che la ritengono possibile in
vista di un bene maggiore, come un accordo impegnativo di programma. Sapoiamo
che c'è in gioco un delicatissimo tema di politica estera, che sfioro appena,
nel senso che vi sono posizioni che non sono solo nostre ma che tengono conto
del giudizio di altri Paesi, di altre opinioni pubbliche con le quali siamo
collegati, quindi dati di fatto obiettivi.
Sappiamo che vi è diffidenza in
Europa in attesa di un chiarimento ulteriore sullo sviluppo delle cose, e
sappiamo che sono in gioco, in presenza di una insufficiente esperienza, quel
pluralismo, quella libertà che riteniamo siano le cose più importanti del nostro
patrimonio ideale che vogliamo ad ogni costo preservare.
Dobbiamo preoccuparci dell'ordine democratico
Vi è la richiesta di qualche cosa che vada al di là del
programma concordato a sei; ebbene la Direzione ne ha parlato in termini cauti,
naturalmente lasciando un certo margine di intepretazione, immaginando cioè una
convergenza sul programma, arricchito, adeguato al momento che attraversiamo,
una convergenza che si esprima, mi pare di capire, con adesioni positive. Cioè
al sistema della astensione, della non opposizione, dovrebbe sostituirsi un
sistema di adesioni.
So che vi è un passaggio difficile, a questo punto,
relativo al modo come si lega la concordia sul programma con l'adesione al
Governo. Credo che questo debba essere oggetto di attenta considerazione nella
Direzione e nell'ulteriore lavoro che, se voi consentirete, sarà svolto dalla
Delegazione. Ma si tratta appunto di queste cose, non di altre.
Intesa quindi
sul programma, che risponda alla emergenza reale che è nella nostra società; e
questo, mi consentirete, pur nella mia sincera problematicità, di dirlo: io
credo alla emergenza, io temo l'emergenza. La temo perché so che c'è sul terreno
economico sociale. Noi possiamo anche dire che qualche altro ha interpretato
troppo rapidamente una radunata di metalmeccanici, ma credo che tutti dovremmo
essere preoccupati di certe possibili forme di impazienza e di rabbia, che
potrebbero scatenarsi nel contesto sociale, di fronte ad una situazione che ha
bisogno di essere corretta, ha bisogno di un certo tempo per diventare
costruttiva.
C'è la crisi dell'ordine democratico, crisi latente, con alcune
punte acute. Non guardate, amici, soltanto alle punte acute, per quanto siano
estremamente pungenti; guardate alle forme endemiche, alle forme di anarchismo
dilagante cui forse ha dato il destro per imprudenza, lo stesso Partito
Comunista quando ha deciso di convogliare alla grande opposizione alla
Democrazia Cristiana le forze soprattutto giovanili del Paese.
Io temo le
punte, ma temo il dato sepreggiante del rifiuto dell'autorità, rifiuto del
vincolo, della deformazione della libertà che non sappia accettare né vincoli né
solidarietà. Questo io temo e penso che l'aiuto di altri ci possa giovare nel
cercare di riparare questa crisi della nostra società.
Abbiamo quindi una
emergenza economica, una emrgenza politica, e io sento parlare di opposizione,
del gioco della maggioranza e dell'opposizione. Sono in linea di principio
pienamente d'accordo: nel nostro sistema che è il migliore, anche se limitato ad
un esiguo numero di Stati privilegiati, questa idea di una maggioranza e di una
opposizione intangibili e intercambiabili mi pare cosa di grandissimo
significato. Ma immaginate cosa accadrebbe in Italia, in questo momento storico,
se fosse condotta fino in fondo la logica della opposizione, da chiunque essa
fosse condotta, da noi o da altri, se questo Paese dalla passionalità intensa e
dalle strutture fragili, fosse messo ogni giorno alla prova di una opposizione
condotta fino in fondo?
Ecco su che cosa consiglio di riflettere per trovare
un modo accettabile per uscire da questa crisi. Ho ascoltato con grande
interesse le cose che ha detto Donat Cattin, che mi sono sembrate di grande
saggezza, non solo, ma molto intelligenti. Egli ha sentito l'importanza di
questo momento e ha fornito degli elementi costruttivi, ci ha ricondotto ad una
impostazione che collega programmi e quadro politico che fa perno sul programma,
sul modo di cooperazione, per fronteggiare quello che si deve
fronteggiare.
E' questo lo spirito che ci ha guidato, e mi pare che si sia
lavorato bene da parte del Presidente incaricato, dell'on. Galloni, dei suoi
collaboratori, della Delegazione, per identificare un punto di accordo, sulle
cose che caratterizzano questo anno di emergenza economica e
politica.
Dobbiamo, io credo, continuare in questo lavoro, non per un tempo
lunghissimo, ci rendiamo conto che il Paese ha le sue esigenze. Ma io ho
fiducia, con il vostro consenso, con la guida saggia della Direzione che
riflette poi le vostre stesse opinioni e vi ha anche ascoltato, di potere
immaginare un accordo opportuno, misurato, legato al momento particolare nel
quale viviamo.
Si domanda che cosa accadrà dopo, qualora noi riuscissimo a
realizzare la concordia necessaria per questo anno che ci sta davanti. Credo di
poter dire che in questo anno non vi sarebbero da temere sorprese. Non mi sento
di dire che dopo questo anno non ci saranno novità politiche: non vi è alcuna
possibile garanzia. Questo non vuol dire che le cose non continuino, ma
certamente una garanzia non c'è.
Però voglio guardare un momento a questo
anno che sta davanti a noi, questo anno che comincia con l'attuale crisi, che
prosegue con le elezioni amministrative, certo difficili, ma che nel caos
sarebbero ancora più difficili, prosegue con alcuni referendum, e taluni
certamente delicati e termina con un periodo particolare e con un evento
costituzionale. Io non so se sia saggio dire se non c'è certezza per il domani
non vale la pena di avere un'intesa per questo tempo. Anche questo è
problematico, ma onestamente, mi pare che un certo respiro di fronte a scadenze
di questo genere non sarebbe male averlo.
Un certo respiro che permetta a
tutti i partiti, e in primo luogo alla Democrazia Cristiana, di approfondire e
far valere la propria identità. Se mi si chiedesse se la situazione di oggi si
riprodurrà domani, in elezioni più o meno ravvicinate, la prima risposta (che
può essere sbagliata ma è sincera) è: sì. Se voi mi chiedete fra qualche anno
cosa potrà accadere, fra qualche tempo cosa potrà accadere (e io non parlo di
logoramenti dei partiti, linguaggio che penso non sia opportuno ma parlo del
muoversi delle cose, del movimento delle opinioni, della dislocazione delle
forze politiche), se mi chiedete fra qualche tempo che cosa accadrà, io dico:
può esservi qualche cosa di nuovo.
Se fosse possibile dire: saltiamo questo
tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di
farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra
responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si
tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà.
Quello che è importante è affinare l'anima, delineare meglio la fisionomia,
arricchire il patrimonio ideale della Democrazia Cristiana, quello che è
importante in questo passaggio (se voi lo vorrete, se sarà possibile
obiettivamente, moderato e significativo), è preservare ad ogni costo l'unità
della Democrazia Cristiana.
Per questo apprezzo tutti e dico a tutti: stiamo
vicini. Non mi piace sentir dire: io voto contro. Perché questo mi sembra una
mancanza di fiducia pregiudiziale nella Democrazia Cristiana. E' vero quel che
io ho detto, che se dovessimo sbagliare, meglio sbagliare insieme; se dovessimo
riuscire, ha certo, sarebbe estremamente bello riuscire insieme, am essere
sempre insieme.
C'è chi ha parlato, in questi giorni, del timore
dell'egemonia comunista e si è domandato che cosa avete voi democratici
cristiani da contrapporre democraticamente a questa forza avvolgente che
certamente è il Partito Comunista? Dico che noi abbiamo la nostra idealità e la
nostra unità. Non disperdiamole; parlaimo di un elettorato liberal-democratico,
certo, noi siamo veramente capaci di rappresentare a livello di grandi masse
questa forza ideale, ma ricordiamoci della nostra caratterizzazione cristiana e
della nostra anima popolare. Ricordiamo quindi quello che siamo.
Siamo
importanti, ma siamo importanti per quest'amalgama che caratterizza da trenta
anni la Democrazia Cristiana. Se non siamo declinati è perché siamo tutte queste
cose insieme e senza queste cose insieme non saremmo il più grande partito
popolare italiano. Conserviamo la nostra fisionomia e conserviamo la nostra
unità. Chi pensa di far bene dissociando, dividendo le forze, sappia che fa in
tal modo il regalo tardivo del sorpasso al Partito Comunista.
Sono certo che
nessuno di noi lo farà. che noi procederemo insieme, credo concordando, se è
necessario in qualche modo anche discordando, ma con amicizia. Camminiamo
insieme perché l'avvenire appartiene in larga misura ancora a noi.
On. Aldo Moro
Gruppi parlamentari della DC
Roma, 28
febbraio 1978